Report da Rosarno

(La complessità del contesto socio-ambientale riscontrata sul territorio di Rosarno in cui si sintetizzano quasi tutte le problematiche della Piana di Gioia Tauro, rende necessario il tentativo di uno sguardo di insieme al fine di poter sviluppare eventualmente un ipotesi di intervento pratico che possa essere realmente efficacie e consapevole.)


La situazione attuale di Rosarno e del territorio della Piana di Gioia Tauro è il risultato di un intrecciarsi e un sovrapporsi di problematiche che richiedono analisi separate e percorsi distinti anche se da far progredire in parallelo.

La totale perdita di valorizzazione del territorio è strettamente connessa e interdipendente dalla dimensione “lavoro” che è sempre più assente.


Piana di Gioia Tauro:

L’intera piana è caratterizzata da una serie di problematiche strutturali territoriali e sociali che non si limitano solo al settore agricolo ma che interessano trasversalmente l’intera area.

Su un territorio di piccoli appezzamenti (al massimo 10 ettari per produttore, circa 4.300 produttori in tutta la piana ) sono più le terre abbandonate che quelle ancora in attività. La grande distribuzione paga le arance dagli 8 ai 16 centesimi al kg e questo rende la raccolta praticamente impossibile. Le sole aziende che continuano a produrre per la grande distribuzione sono quelle in grado di controllare anche trasporto e vendita, quindi l’intero ciclo produttivo-distributivo. La stessa monocoltura delle arance impoverisce il terreno e sostanzia il controllo della GDO sul territorio.

Recentemente, la chiusura della fabbrica locale per la trasformazione delle arance in succo ha acuito il fattore della non raccolta e creato maggior disoccupazione tra i locali.

A questo si va a sovrapporre la condizione dei lavoratori africani, già lo scorso anno erano aumentate le presenze che in questi mesi si stanno incrementando ulteriormente, questo è probabilmente dovuto alla “crisi” economica che spinge moltissimi extracomunitari nelle campagne del sud non avendo alternative. Il 90% dei migranti dichiara di lavorare in nero, ed è diffusissimo il fenomeno del caporalato, nelle forme “a squadra”, più stabile, e di reclutamento “in piazza”, prettamente giornaliero.

Attualmente sono 2000 i migranti presenti nella piana, ma il numero è destinato a crescere. Il problema del sovraffollamento, già grave ad inizio della stagione, sarà una delle questioni principali da monitorare nei mesi a venire: le strutture si rivelano già totalmente insufficienti.

Campo container: solo per chi ha documenti regolari. Ospita circa 150 persone, a fronte di 120 posti disponibili.

Tendopoli: E’ la situazione più critica, tanto che l’associazione che la gestiva si è ritirata, dopo mesi che gli operatori non percepivano stipendio. Tra i responsabili dell’infrastruttura compaiono anche il Ministero dell’Interno e la Protezione Civile. È stata in funzione anche quest’estate, a dimostrare l’aumento del numero di migranti stanziali che cercano lavoro su territorio tutto l’anno. Ospita anche migranti irregolari. A fronte di 300 posti, le presenze effettive sono per ora 550. A causa di un errore, peraltro, la tendopoli è stata montata in un sito che si allaga con facilità e dove gli allacciamenti con acqua ed elettricità sono più difficoltosi. I bagni sono sottodimensionati, le docce sono fredde, la corrente salta.

Ai margini della tendopoli è venuto formandosi un insediamento precario, fatto con materiali di fortuna, dove attualmente trovano riparo circa 200 migranti.

In questo contesto il tema dello sfruttamento del lavoro viene schiacciato da quello dell’accoglienza, la marginalizzazione si struttura sempre di più.

Al di la dei centri che in teoria dovrebbero accogliere i lavoratori stranieri e che di fatto contengono a stento una situazione di disagio e ricattabilità dovuta a l sovrapporsi di più fattori nell’intera zona della piana sono presenti numerosi siti abbandonati in cui vivono molte persone in condizioni ancora peggiori rispetto a chi è nella tendopoli.

Ma anche la tendopoli, per la sua posizione, costituisce una novità per Rosarno: a differenza delle ex fabbriche occupate prima dello sgomebero, sono totalmente invisibili e fuori mano, il che crea una situazione di isolamento e ghettizzazione inedita per questo territorio.

 

Contesto in generale:

La disoccupazione di italiani e africani si lega con l’abbandono delle terre e più su larga scala ad un sistema di sfruttamento dissennato e selvaggio che va dai lavoratori al territorio stesso. La costa è stata sventrata da un porto industriale che intorno a se ha creato un vero e proprio deserto, anche in questo caso è critica la situazione lavoro, i portuali legati al sindacato di base SUL è in lotta da mesi.

Oltre al porto altra struttura che contribuisce al depauperamento territoriale sono sicuramente l’inceneritore (la società che gestisce l’inceneritore è la stessa a cui vorrebbero dare in mano la gestione della raccolta differenziata… la contraddizione è emblematica) costruito con la promessa di posti di lavoro e ripresa occupazionale (ci lavorano 17 persone). Anche l’inceneritore, come il porto e tutta l’area industriale, sorge dove prima c’era un immenso bosco, distrutto per far spazio a cooperative, aziende, insediamenti che servivano per riciclaggio di denaro, truffe, speculazioni edilizie (v. video “cooperative”, “fiume”, “zona industriale, ex opera sila”).

La “crisi” ha incrementato le presenze di lavoratori africani, che perso il lavoro nel nord Italia si trovano costretti a vivere nei ghetti ai margini dei centri urbani o nei casolari abbandonati delle campagne.

La ricattabilità e la mancanza di alternative rendono molto difficile mettere in atto rivendicazioni collettive .
Processi di auto organizzazione in atto: Equosud (6-7 piccoli produttori tre dei quali portano avanti la campagna SOS Rosarno)- collettivo Onda Rossa di Cinquefrondi – Africalabria (associazione conposta da italiano ed africano che lavorano in strettissima relazione con Equosud, portano avanti un difficile percorso di assemblee con i braccianti)


SUL:
Sindacato di base dei portuali della Piana di Gioia Tauro lo scorso anno, hanno avuto un momento di grossa fragilità ma negli ultimi mesi si sono riorganizzati e ampliato molto il consenso.

Pensare di intervenire con pratiche collettive che supportino il lavoro di chi sul territorio vive tutto l’anno richiede un’analisi complessiva che permetta una visione di insieme.

Diventa di centrale importanza il tentativo in prospettiva di superare la divisione tra extracomunitari-comunitari-popolazione locale.