Una sanatoria non fa primavera: Non è con una regolarizzazione che si decide chi sta dalla parte giusta

Da qualche giorno circola una bozza del decreto che dovrebbe regolarizzare gli ‘immigrati extracomunitari’ in possesso di garanzie di ingaggio in agricoltura. Si parla di una ‘sanatoria’ in due tempi (i braccianti subito e tutti gli altri rimandati a settembre), ma guai a pronunciare la parola per non scatenare le ire di qualche bestia. Da quando Coldiretti e Confagricoltura hanno lanciato l’allarme sulla carenza di stagionali dovuta al lockdown, il dibattito è infuriato su media e social, dando vita a proposte improbabili, sostenute e poi bocciate da soggetti che non paiono conoscere il significato della parola ‘coerenza’ – come ad esempio la Ministra per l’Agricoltura, Teresa Bellanova, che inizialmente blandiva le associazioni di categoria aprendo al lavoro ‘volontario’ in campagna per i percettori di reddito di cittadinanza e cassa integrazione, o magari alla semplificazione dei voucher per mettere al lavoro anche studenti e pensionati, ebbene sì, signore e signori (reclutiamoli dalle case di riposo magari, così possono almeno morire all’aperto!). 

Ma è evidente che, a meno di non abolire il reato di riduzione in schiavitù (che comunque vale solo per qualcuno), di italiani da mandare a lavorare nei campi se ne troverebbero pochissimi, e così ecco farsi strada l’ipotesi della sanatoria. Figurarsi che addirittura i rumeni e gli altri cittadini europei ‘di serie b’ disertano il lavoro bracciantile in Italia! E non solo per il coronavirus. Sono almeno tre anni che le cifre ufficiali raccontano di una lenta ma inesorabile fuga di lavoratrici e lavoratori comunitari. Chiunque abbia una possibilità di scelta dai campi scappa a gambe levate e per ottime ragioni, di cui non ci sembra necessario dare conto. Ed è da un po’, almeno da un anno, che le associazioni di agricoltori spingono per avere ‘più immigrati’, anche per via del contenimento degli sbarchi successivo ai criminali accordi di Minniti con la Libia, e poi al blocco dei porti di salviniana memoria. Lo stesso Minniti oggi sostiene appunto la sanatoria, pardon, la regolarizzazione. C’è chi adduce motivazioni economiche, chi anche sanitarie, ma la sostanza non cambia: si parla di regolarizzare solo quando ai cittadini elettori si può raccontare che ci guadagnano anche loro – e non perché se ‘gli altri’ hanno più diritti anche quelli di chi li dà per scontati sono meglio garantiti, ché questo deve rimanere un segreto. Di questo avviso ‘utilitarista’ sembrano essere anche i sindacati, CGIL in testa, che ha avuto l’ardire di proporre i ‘permessi per calamità naturale’ previsti dal primo decreto Salvini – durata 6 mesi, non convertibili, insomma carta straccia, giusto il tempo di salvare i raccolti e poi torni irregolare ed espellibile. Ma le richieste di regolarizzazione si sono moltiplicate da più parti, con USB che propone due petizioni distinte, una per i braccianti e l’altra per le badanti, salvo poi per bocca di alcuni suoi dirigenti VIP dire che ‘bisogna regolarizzare tutti’, sempre per coerenza. E c’è chi dice sanatoria per tutt* e subito. Ma occorre fare forse qualche passo indietro. 

A dicembre 2019 e poi a febbraio 2020, la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese dichiarava al parlamento l’intenzione del governo di procedere ad una regolarizzazione di chi potesse dimostrare possibilità di impiego; insomma una sanatoria con tutti i crismi, come se ne fanno da trentacinque anni a questa parte in Italia. Se il governo si era finalmente deciso, dopo 8 anni in cui alle politiche che da sempre producono irregolari non sono stati affiancati canali per la regolarizzazione di alcun tipo (tranne quelli, sempre più stretti, della protezione internazionale), non era certo grazie a qualche petizione. Se le pressioni datoriali sono storia vecchia, le lotte di chi vive nei ghetti e nei campi di lavoro ed è costretto a lavorare in campagna lo sono ancora di più. Dopo Rosarno, dopo Nardò, non ci stancheremo mai di raccontarlo, sono seguiti anni di manifestazioni, presidi, blocchi, in Puglia e in Calabria ma anche a Roma. Allo stesso tempo, i sindacati e gran parte della società civile si dissociavano da queste lotte, le ignoravano o peggio le intralciavano attivamente, appropriandosi del loro potenziale e poi disattivandolo completamente per guadagnare facile popolarità. Salvo poi sgomitare oggi per provare ad accaparrarsi lo scettro della vittoria e rivendicare la regolarizzazione come un loro risultato. Dove eravate il 6 dicembre 2019 quando gli abitanti dei ghetti chiedevano documenti? In alcuni casi eravate di fronte alle telecamere, a dire che chi blocca il Porto di Gioia Tauro, esasperato da una vita ai limiti dell’immaginabile, è un criminale. A fare congetture sul fatto che ci fossero regie occulte e irresponsabili. Nella maggior parte dei casi, come sempre, semplicemente zitti. Zitti anche davanti alle botte, alla repressione, alla violenza e agli abusi quotidiani. Fino a quando non avete scorto, dio benedica le pandemie!, un comodo spiraglio, un’opportunità senza rischi. Chiedere una sanatoria ora non significa soltanto oscurare le lotte (e le fughe) che hanno portato fin qui, proprio come vogliono i padroni. Significa proprio consegnar loro le chiavi di tutto, e dire che sì, è giusto pensare a regolarizzare solo quando di mezzo c’è un rischio troppo grosso anche per ‘noi’, e per i nostri stomaci mediterranei.

Qualsiasi sia il risultato finale di questo osceno dibattito, siamo certe che ci sarà da lottare ancora. Con chi verrà truffato per avere un contratto, con chi si vedrà rifiutare la domanda di regolarizzazione, con chi proprio non potrà accedervi, con chi riperderà il sudato permesso, con chi dovrà comunque vivere in baracca, lavorare senza tutele per un salario sempre troppo basso, rischiare la vita per andare al lavoro. Sarà allora che, ancora una volta, sapremo chi sta dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, degli irregolari, dei reclusi, di chi lotta.