La nuova tendopoli di Rosarno: il lavoro non è un’emergenza
Quando il deflusso dei braccianti stagionali è già cominciato, a causa del pessimo andamento del settore agrumicolo, gli immigrati africani devono evacuare la tendopoli ed annessa baraccopoli di San Ferdinando (RC), per traferirsi in un nuovo campo a poca distanza. Sabato 9 Febbraio la prefettura di Reggio Calabria e il Comune di San Ferdinando hanno disposto lo sgombero con tempistiche da emergenza, sebbene già da Ottobre fosse evidente che gli arrivi di persone provenienti da altre parti d’Italia per la raccolta delle arance sarebbero stati molto più numerosi rispetto agli anni passati. In mancanza di fondi per la gestione del nuovo campo, le autorità avevano inizialmente condizionato l’ingresso al pagamento di una somma di 30 euro da parte dei braccianti, che lavorano saltuariamente e per paghe irrisorie. Una delegazione di abitanti della tendopoli, individuata a seguito di un’assemblea, lunedì 11 ha protestato contro la richiesta ed è riuscita ad ottenere l’eliminazione dell’obbligo di pagamento.
La vecchia tendopoli, disposta da Protezione Civile, Regione e Provincia già dalla stagione scorsa, non è riuscita ad accomodare le presenze sempre crescenti di immigrati africani, vittime della crisi economica, resa più acuta da leggi discriminatorie, e in molti casi reduci dall’esperienza della guerra in Libia e del fallimentare sistema di accoglienza approntato dallo Stato italiano in quel frangente. A San Ferdinando è quindi sorta una baraccopoli costruita con materiali di fortuna da chi non ha trovato posto nelle tende. D’altra parte, sono anni che nella Piana di Gioia Tauro chi raccoglie le arance, e soprattutto gli africani, vive in condizioni alloggiative di estrema precarietà e degrado, osteggiati da una parte della popolazione locale fino ad episodi di aggressione fisica. Questo clima di violenza è sfociato nel gennaio 2010 in una rivolta la cui risposta istituzionale è stata la deportazione di massa. Da allora poco è cambiato, nonostante lo Stato, gli enti locali e associazioni del terzo settore abbiano stanziato consistenti somme, utilizzate per la costruzione della tendopoli stessa e di un campo container nel comune di Rosarno. L’inaugurazione di un “Villaggio della solidarietà” di soli 210 posti, già prevista per quest’anno, è slittata alla prossima stagione. E’ evidente dall’inadeguatezza delle strutture di accoglienza come le istituzioni locali e nazionali mirino a scoraggiare il più possibile gli arrivi minimizzando le proprie responsabilità. Nella gestione del nuovo spazio tendopoli si è creato un apparente vuoto di potere, data la temporanea assenza, per mancanza di fondi, di un ente gestore. Pertanto, i lavoratori stanno organizzando in maniera autonoma il proprio trasferimento nel nuovo campo, dove, nonostante la tempistica affrettata che è stata imposta, mancano ancora le condizioni di vivibilità, a causa della mancanza di corrente elettrica che rende inutilizzabili il riscaldamento e i servizi igienici.
Questa gestione politica è chiaramente improntata su una logica emergenziale e di mantenimento dell’ordine pubblico, che oltre ad essere estremamente lucrativa per alcuni attori istituzionali e dell’associazionismo, permette di occultare le gravi condizioni di sfruttamento del lavoro bracciantile e la volontà di scaricare sulle fasce più deboli il costo della crisi. In questo senso la richiesta rivolta ai braccianti di pagare 30 euro per alloggiare in tenda è esemplare. D’altro canto, per i lavoratori africani è spesso difficile trovare qualcuno che affitti loro un alloggio a Rosarno. Si scaricano inoltre sugli immigrati, e sulle associazioni e movimenti a loro solidali, le responsabilità per una situazione di tensione generata invece da condizioni strutturali di razzismo e sfruttamento, e spesso alimentata dai media locali che agitano strumentalmente lo spettro della rivolta.
In opposizione a tali logiche, gli abitanti della tendopoli hanno invece dimostrato la capacità di auto-organizzarsi e proporsi come interlocutori diretti delle istituzioni, contro l’atteggiamento paternalista, discriminatorio e assistenzialista loro riservato. Da Gennaio, la rete Campagne in Lotta sostiene il percorso dell’associazione Africalabria e gli abitanti della tendopoli-ghetto nel promuovere pratiche e strumenti di consapevolezza contro l’emarginazione e lo sfruttamento del lavoro bracciantile.
Alla luce degli eventi degli ultimi giorni, la rete Campagne in Lotta ribadisce la propria opposizione a un sistema di potere che tratta il lavoro come un’emergenza e specula sulla soppressione dei diritti di tutti. Non è ammissibile che i costi dell’”accoglienza” di Stato ricadano sui braccianti, quando la loro presenza permette ai grandi attori della filiera agroalimentare di trarre profitto da una manodopera fortemente deprezzata.
Campagne in Lotta
A new camp in Rosarno: work is not an emergency
As the orange industry experiences a lag, the outflow of immigrant fruitpickers from the Gioia Tauro plain has already begun. Nevertheless, the African immigrants have to leave the tents and shacks in the San Ferdinando camp, near Reggio Calabria, and move to a new camp built just a few hundred meters away. Although it was clear since October that the inflow of workers from other parts of Italy was much higher than in previous years, on February 9th the prefectureof Reggio Calabria and the City Councilof San Ferdinando ordered the evacuation as if it were an emergency. Given that no funds have been allocated for the management of the camp, the authorities had initially decided that the workers should pay an entrance fee of 30 euros, despite the fact that they work sporadically and for very low, cash-in-handsalaries. On February 11th, after an assembly was held by a good number of the camp’s inhabitants, a delegation protested against this and obtained the abolition of the entrance fee.
The old camp, set up one year ago by the Ministry of Interior’s Civil Protection unit, could not accommodate the growing number of African immigrants. Many of them are bearing the consequences of the economic crisis, which hit them particularly hard due to discriminatory immigration laws; many others are escaping the Libyan war and had to face the grossly inefficient and chaotic system of reception set up by the Italian state to face the contingency; yet others have been working in the seasonal circuit of agricultural work for years. Whatever the reasons and personal histories that brought them to Calabria might be, those who did not find a place in the tents built their own shack with scrap materials, next to the San Ferdinando camp. As a matter of fact, orange pickers, and especially the Africans, have been suffering poor living conditions for years, in a context of permanent insecurity and neglect, and they constantly face the hostility of the local population, which in the past has led to episodes of physical harassment. In January 2010, this climate of violence gave rise to a revolt, to which the government reacted enforcing a mass deportation of the African workers. Not much has changed since then, in spite of the fact that the State, the local institutions and the third sector have allocated large amounts of money in order to set up the tent-camp and a container-camp in the Rosarno Municipality. A “Solidarity Village”, with only 210 beds, should have opened this year, but will only be ready for the next season. The inadequacy of the reception facilities makes it clear that the aim of local and national institutions is to discourage as much as possible the inflow of immigrants and to minimize their own responsibilities and those of employers. In the administration of the new camp, an apparent power gap has been left, given the temporary absence of a managing organisation. Thus, the workers have organised their move autonomously, notwithstanding the fact that – despite the demand of a swift eviction – in the new camp basic facilities are still missing: electricity and water are provided intermittently, which fact also affects heating and toilet use.
These political choices are clearly part of a logic of government by emergency, and are concerned mainly with public order. Besides being extremely profitable for some institutional actors and ‘third-sector’ associations, this strategy makes it possible to gloss over the heavy exploitation of irregular immigrant labour, and the dumping of the costs of the economic crisis onto the least privileged. In this regard, asking immigrant workers to pay 30 euros to live in a camp is an act that speaks for itself. Furthermore, it is often difficult for African immigrants to rent an apartment in Rosarno. Immigrants and the associations supporting them are accused of fuelling a climate of tension which, on the contrary, has its origin in structural forms of racism and exploitation, and which the local media often exploit instrumentally, airing the threat of an uprising.
Against these logics, the inhabitants of the camp have shown the ability to organize and to act as a direct counterpart to institutions, against the discriminatory and paternalistic attitude commonly reserved them. Since January, the ‘Campagne in Lotta’ network supports the work of the Africalabria association, and of the inhabitants of the camp, aimed at promoting tools and practices of awareness and at fighting the marginalization and the exploitation of farm workers.
In the light of these recent events, Campagne in Lotta reiterate once more their rejection of a system of government which treats work as an emergency and gains from the suppression of everyone’s rights. It is not acceptable for the costs of boarding to fall on laborers, especially if migrants, when their very presence, as a heavily underpaid workforce, allows the big actors of the agro-industrial chain to make profits.