Da Foggia un messaggio al nuovo governo: nessuna pace a chi ci fa la guerra!

A sfruttamento, sgomberi e campi rispondiamo con lo sciopero!

Oggi, lunedì 2 settembre 2019, scioperiamo insieme, italiani e immigrati: chi vive e lavora nei numerosi ghetti del foggiano accanto a chi vive e lavora in diverse città d’Italia e d’Europa.
Scioperiamo per dire basta a un sistema che ci sfrutta e ci soffoca sempre più velocemente.
Noi immigrati, qui nella provincia di Foggia come nel resto di Italia e d’Europa, siamo sottoposti a continue violenze e a un pervasivo sfruttamento che riguarda ogni aspetto della nostra esistenza.
Molti di noi non hanno il permesso di soggiorno, complici tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni e gli accordi europei sul controllo delle frontiere esterne. Anzi, con la nuova legge sull’immigrazione voluta da Salvini ci troviamo nuovamente costretti a comprare contratti e residenze, in nome di una presunta regolarità che comunque ci fa lavorare senza ricevere i contributi e le minime tutele e perdipiù ci costringe a pagare per qualsiasi cosa. Proprio per dire basta a questo continuo ricatto oggi abbiamo deciso di occupare tutti insieme la sede della Commissione Territoriale che si trova dentro il CARA di Borgo Mezzanone, perché prima di tutto abbiamo bisogno di quel pezzo di carta che ci può dare la possibilità di andare anche altrove e provare ad avere una vita più felice e libera di questa.

Vogliamo dire al governo che si insedierà nei prossimi giorni o settimane che devono tenere conto delle nostre condizioni e delle nostre richieste. Sappiamo molto bene di essere manodopera indispensabile per questo paese, soprattutto in agricoltura, lavorando più di 10 ore al giorno per paghe da fame e nella maggior parte dei casi non ricevendo quanto previsto dai contratti nazionali e provinciali rispetto al vitto, il trasporto e la casa. Negli ultimi dieci anni, in risposta alle numerose manifestazioni e proteste che abbiamo portato avanti – non solo qui nel foggiano, ma in tutta Italia, dalla Piana di Gioia Tauro, alla provincia di Cuneo così come a Metaponto – per vivere in case normali, abbiamo ricevuto un’unica tragica opzione: violenti sgomberi e campi di lavoro iper-controllati. Da anni denunciamo e lottiamo contro le terribili condizioni di vita a cui siamo costretti, all’interno di container circondati da reti e telecamere (dove può entrare solo chi è in possesso di un permesso di soggiorno e chi lavora in campagna, escludendo quindi centinaia di uomini e donne). Dopo le passerelle e i proclami di politici e sindacati, sono stati dimenticati in fretta i nostri fratelli e le nostre sorelle morti sulle strade o arsi vivi nei ghetti di questo paese. Tant’è che un mese fa il presidente della regione Puglia ha inaugurato il più grande campo per lavoratori agricoli d’Italia: 400 posti distribuiti in 100 container, collocati nell’agro di San Severo, presso l’Azienda Fortore, meglio nota come Casa Sankara, ad oggi ancora vuota nonostante ci troviamo nel vivo della raccolta del pomodoro, proprio perché nessuno di noi vuole più vivere (e morire) in una prigione.


Accanto alla crudele inutilità degli interventi istituzionali messi in campo per ripulire l’immagine dell’agricoltura italiana, e in particolare di quella pugliese, altri progetti del tutto effimeri vengono sbandierati come grandi successi in quella che viene definita la lotta al caporalato per mascherare le responsabilità della distribuzione, dell’industria e dei grandi consorzi agricoli. A partire dal Progetto Caronte, portato avanti dalla CGIL, che ha permesso l’assunzione, per ben un mese, di 50 lavoratori che vivono tra il Gran Ghetto e la pista dietro il CARA di Borgo Mezzanone. Così come il progetto NoCap, promosso dal fu rivoluzionario Yvan Sagnet, che proprio oggi a Foggia celebra in pompa magna l’assunzione di ben 40 lavoratori, spingendo anche per prezzi più alti al consumo – come se questa potesse essere la soluzione! Questi interventi, oltre ad essere totalmente marginali in termini di numeri e stabilità contrattuale, dimostrano ancora una volta una totale cecità, che dopo tutto quello che abbiamo passato non possiamo far altro che chiamare cattiveria, razzismo, xenofobia. Gli stessi che negli ultimi mesi, sempre qui a Foggia, hanno portato alcuni di noi in ospedale dopo essere stati feriti gravemente in violenti attacchi razzisti mentre andavamo a lavorare la mattina presto.


Noi che invece in questo paese ci siamo nati non possiamo che essere qui oggi. Non solo perché sono anni che lottiamo insieme, italiani e immigrati, e ci sosteniamo a vicenda, qui come in tutto il paese – basti pensare alle lotte per la casa, resistendo a sgomberi e sfratti fianco a fianco, così come nei luoghi di lavoro, dai magazzini della logistica, alla ristorazione. Oggi siamo qui anche per dare, ancora una volta, un messaggio molto chiaro a chi governa – e governerà – questo paese e l’Europa tutta: non siamo più disposti ad accettare di essere divisi e ricattati, e di vivere e lavorare in queste condizioni; a pagare per lavorare, per accedere a servizi e documenti che sono gratuiti, come la residenza; a dover vivere per strada, in baracche, in campi o in container, in 10 in una stanza, per giunta pagando e perennemente sotto il ricatto di essere sgomberati; a dover lavorare senza contratti e tutele, senza nessuna stabilità, che costringe tutti, immigrati e italiani, a spaccarsi la schiena, facendo più lavori contemporaneamente, senza giorni di riposo e con paghe da fame.

Senza documenti e garanzie noi non abbiamo altra scelta se non resistere qui, con i nostri corpi, fianco a fianco e fino alla fine. Per un mondo più libero per tutte e tutti.