ROSARNO: A 9 ANNI DALLA RIVOLTA IL FUOCO BRUCIA DALLA PARTE SBAGLIATA.
E’ periodo di bilanci, si sa. Ma nell’area delle tendopoli di San Ferdinando, l’occasione di tirare le somme per noi non viene dalla fine di un anno. La ricorrenza è piuttosto quel 7 gennaio 2010 in cui centinaia di persone di origine africana catturarono l’attenzione del mondo ribellandosi, coraggiosamente, contro un sistema di sfruttamento violento, segregazionista, in cui spesso venivano trattati a mo’ di bersaglio mobile, prede per la caccia all’uomo quando non braccia da spremere per due spicci. A 9 anni dalla rivolta dei braccianti, però, nella piana di Gioia Tauro il fuoco brucia solo e sempre dalla parte sbagliata.
Nella tendopoli di San Ferdinando l’anno infatti è iniziato con una tragedia ormai talmente ordinaria da non fare quasi più scalpore. Quali che siano state le cause immediate dell’ennesimo incendio, per fortuna senza morti né feriti, è chiaro che siamo davanti ad una situazione di stallo deliberato. Ciclici sgomberi, distruzioni (per causa del fuoco o delle ruspe, poco importa), rioccupazioni e ricostruzioni fanno comodo a chi ha interessi a mantenere tutto nel limbo senza tempo dell’emergenza e della estrema precarietà, che poi fa rima con illegalità. E l’illegalità, specialmente quella dei poveri diavoli, si sa, è sempre buona per giustificare il pugno di ferro, quando serve. La presenza costante delle forze dell’ordine nell’Area Industriale di San Ferdinando, la militarizzazione dei ghetti, non impedisce però a qualcuno di morire arso vivo, come è successo nel corso del 2018 a Becky Moses e Suruwa Jaiteh.
Le vite umane, lo sappiamo bene, non hanno tutte lo stesso valore – quelle che percorrono deserti e attraversano mari, per poi essere gettati in qualche tipo di gabbia (accogliente, respingente, diffusa o concentrata, stagionale o permanente – gli aggettivi si sprecano ma il succo cambia poco), sono le più spendibili – non solo nel senso che possono morire indisturbate, e anzi che la loro morte viene attivamente cercata in molti casi ed in mille maniere, ma anche che sulla loro morte si può ricamare qualche effimero momento di notorietà e racimolare qualche briciola di potere, complice l’indignazione da tastiera che affligge le nostre coscienze intorpidite.
Periodicamente, sindacati, associazioni e istituzioni lanciano proclami, dal caldo delle loro poltrone, protetti da mille schermi. Un teatrino piuttosto monotono, se non fosse crudele, in cui ci si scambia i ruoli tra chi parteggia per le tende, chi per i container, chi per i beni sequestrati, chi semplicemente per gli sgomberi. Costretti anche dall’evidenza che li sbugiarda, e dalla rabbia di chi subisce il loro cinismo, – la CGIL, che fa sponda alla Prefettura, dopo aver invocato gli sgomberi e le tende (senza paura di sembrare contraddittori, ovvio) passa a chiedere che ci si ‘evolva’ ai campi container. Come sempre, la logica è il meno peggio. Dall’altra parte, l’USB – anch’essa paladina della prima ora delle tendopoli ad alta sicurezza e dei container – punta su imbarazzanti alleati in Regione (sarà il presidente pluri-indagato anche lui un amministratore ribelle?), e improvvisamente facendo inversione ad U arrivano a chiedere case… All’atto pratico, all’orizzonte abbiamo sempre e solo visto campi di lavoro, che si tenta di rendere il più controllati possibili per evitare altre rivolte, non sia mai che qualcuno venga a bussare alle loro coscienze e, cosa molto più solida, ai loro grassi portafogli. I protagonisti attivi di questo gioco delle tre carte sono solo in apparenza avversari, e proprio questa finta polarità permette di distrarre l’”opinione pubblica”, questa entità soprannaturale che sembra essere l’ago della bilancia…. La CGIL e l’USB ormai da mesi si contendono sfacciatamente l’egemonia sugli abitanti delle tendopoli – a suon di tessere, promesse, prebende e servizi pagati a caro prezzo. Specchietti, perline e caramelle, ma anche ricatti – sui documenti, sulla disoccupazione…o ci si affida a questi caporali della burocrazia o si rischia di perdere tutto. E così, mentre impazza il teatrino, fuori il fuoco si porta via fratelli e sorelle, senza arte né parte, ma con la rabbia di chi non può fidarsi davvero di nessuno. Ma nel corso di quest’anno – come negli anni precedenti – questa rabbia è stata indirizzata in momenti di lotta del tutto auto organizzati, a supporto di richieste molto chiare (documenti, accesso a case e servizi, contratti di lavoro), che nella maggior parte dei casi sono state ignorate e disattese. O, alternativamente, sono state strumentalizzate, prima dall’USB e poi dalla CGIL, a colpi di altisonanti promesse per la “conquista dei diritti” e facendo lavorare nelle proprie organizzazioni – come sindacalisti o mediatori – qualche abitante delle tendopoli, per garantirsi il loro consenso o se non altro il loro silenzio. Quando questo meccanismo di cooptazione non ha funzionato, le persone che hanno continuato a confrontarsi ed organizzarsi tra loro sono diventate bersaglio costante delle forze dell’ordine, attraverso minacce, soprusi e pestaggi. La repressione ha anche colpito i pochi solidali che da anni sostengono le rivendicazioni di chi vive lì. Sono stati emessi diversi fogli di via e sono in corso due processi che vedono coinvolte una ventina di persone, contando anche i numerosi fermi e perquisizioni. Tutto questo per il solo motivo di esserci, intessere relazioni e sostenere le lotte.
Sotto le ceneri il fuoco non si è spento. Speriamo che presto divori il teatrino dei caporali della burocrazia!