Repressione, sgomberi e sicurezza a senso unico: Ricette quattro stagioni per i distretti agro-industriali. L’antidoto è sempre e soltanto la lotta
Mentre lunedì scorso a Foggia si è svolta l’ennesima passerella politica sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici delle campagne, ieri a San Ferdinando (RC) è andato in scena l’altrettanto collaudato, atroce copione di sgombero per decine di braccianti. Come al solito, sui migranti si cerca di speculare il più possibile da ogni parte, inclusa quella sindacale, per costruire consenso e al contempo garantire il profitto ai padroni della filiera e agli imprenditori di un’accoglienza che sa di reclusione.
Lo scorso 3 settembre il vice premier e ministro del lavoro Luigi di Maio ha presieduto un tavolo nazionale al quale hanno preso parte rappresentanti istituzionali, sindacali e delle associazioni datoriali, per rendere operativo il piano di intervento che ha al centro la lotta alla ‘piaga’ del caporalato e l’eliminazione degli insediamenti abitativi “illegali” che nella provincia di Foggia ospitano migliaia di persone. Dal vertice, come previsto, sono emerse le stesse proposte, a tutto svantaggio dei lavoratori, avanzate da anni per risolvere quella che ad ogni giro viene presentata come un’emergenza, ma è in realtà una condizione sistemica che i braccianti denunciano e contro cui lottano quotidianamente.
Alle stragi dello scorso mese, in cui hanno perso la vita 16 lavoratori, le istituzioni hanno risposto con la caccia al “capo nero”, effettuando fermi ed arresti – immotivati dalla sussistenza di qualsiasi prova, ma compiuti per pura propaganda e su base puramente razziale. Anche a volersi piegare a logiche repressive che non ci appartengono per nulla, è noto come gli africani rappresentino solo una piccola percentuale di quel mondo grigio di intermediazione lavorativa che è fatto per la maggior parte di italiani ed europei. Lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, all’indomani di un’indagine conoscitiva sui fenomeni mafiosi in provincia di Foggia, parlando di caporalato non cita nemmeno un caso che coinvolga cittadini di paesi africani. Ma ciò non ha impedito al governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, di servirsi dell’indagine del CSM per rincarare la dose sulla necessità di reprimere e sgomberare i ghetti africani. Insomma, la criminalizzazione dei poveri, soprattutto se neri e migranti, rimane un pilastro dell’agire di governo, e serve a nascondere lo sfruttamento di altri lavoratori e lavoratrici nonché l’impunità dei veri responsabili. Allo stesso modo, all’indomani dello sgombero del capannone nella zona industriale di San Ferdinando, i media parlano di ‘traffici illeciti’ non meglio specificati a giustificazione dell’operazione di polizia, come d’altronde sempre avviene in questi casi.
Dopo quelli di ieri nella Piana di Gioia Tauro si minacciano nuovi sgomberi per i ghetti informali, ma anche per quelli istituzionali come l’Arena di San Severo, ergendo a strategia il fallimento di progetti nati per combattere il caporalato e che invece questo sistema riproducono. L’Arena va sgomberata, secondo le istituzioni, proprio perché è un centro di cui si servono i caporali. Più che un paradosso, un ovvio e apparentemente deliberato risultato. Si progettano quindi nuovi campi di lavoro, dai quali le aziende dovrebbero attingere direttamente la manodopera attraverso centri per l’impiego, notoriamente inefficaci poiché strumenti del tutto facoltativi per i datori di lavoro. Per queste “foresterie” sono stati stanziati milioni di euro, tutti a vantaggio delle dissestatissime casse comunali e delle cooperative che dovrebbero gestire controllo e disciplina in questi spazi. Ai comuni, reticenti ad ospitare sul loro territorio campi che godono di scarsissima popolarità tra i cittadini, si elargiscono finanziamenti per strade e…sistemi di videosorveglianza – insomma, due piccioni securitari con una fava. Nemmeno una parola viene spesa sull’applicazione dei contratti, che darebbero diritto, oltre che a tutele salariali e previdenziali, anche alla casa e al trasporto sul luogo di lavoro. Mentre viene ribadito l’impianto, esclusivamente repressivo, della legge 199 contro il caporalato, con qualche mal di pancia da parte delle associazioni degli agricoltori che vorrebbero meno controlli e meno responsabilità, si chiede che le aziende agricole vengano “lasciate in pace” (L. Di Maio). E si torna a parlare di voucher e di ‘premi’ per le aziende che rispettano la legge. Nessun riferimento neppure ai meccanismi normativi e burocratici (su tutti, le leggi sull’immigrazione e la restrizione di accesso alla residenza) che rendono costantemente disponibile una manodopera altamente ricattabile, limitando la libertà di movimento e azione delle persone e costringendole ad accettare condizioni di lavoro e di vita da incubo. Negando la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno o di rinnovarlo, le leggi sull’immigrazione continuano a riprodurre il ciclo irregolarità-miseria-sfruttamento. Con la complicità di sindacati e associazioni, da USB ad ARCI, passando per i confederali: tutti in fila al tavolo del ministro per una fetta della torta.
I lavoratori e le lavoratrici delle campagne non sono però disposti ad accettare che le loro istanze siano ignorate, che la loro voce sia messa a tacere attraverso la concertazione con sindacati che, anche quando si proclamano conflittuali, con il loro atteggiamento fanno il gioco della governo e dei padroni, a Foggia come a San Ferdinando. Dopo il vertice di Foggia, infatti, USB ha partecipato anche ad un tavolo con il governatore della Regione Calabria, Mario Oliverio, per discutere della ‘situazione dei braccianti’. Ma dal sindacato nemmeno una parola sullo sgombero di ieri.
È inaccettabile che i braccianti non siano stati minimamente coinvolti in una discussione di cui essi sono i protagonisti e le protagoniste, in Puglia come in Calabria. Così lunedì ancora una volta siamo scesi in strada a Foggia, gridando la nostra rabbia attraverso uno striscione che recitava “Governo e sindacati: bugiardi assassini”. Le forze dell’ordine inizialmente ci hanno impedito di raggiungere la Prefettura salvo poi accettare, vista la nostra determinazione, che rimanessimo in presidio ai limiti dello sbarramento posto a difesa delle autorità e di un gruppo di sostenitori dei sindacati presenti al tavolo, i quali si sono guardati bene dal solidarizzare con la delegazione dei braccianti vittima di una così palese violazione della libertà di espressione e dissenso. Ma evidentemente la verità è troppo, e così lo striscione ci è stato strappato con la forza prima che il ministro potesse vederlo e vedersi allo specchio in tutta la sua nudità. Allo stesso modo, a San Ferdinando alla determinazione di migranti e solidali che si opponevano ad uno sgombero senza alternative è stata opposta la totale chiusura: ricatti e intimidazioni, comprensivi di fermo per le compagne sottoposte ad una quanto mai invasiva perquisizione corporale per il solo fatto di trovarsi sul posto.
La strategia del governo e dei suoi vassalli è chiara a chiunque voglia vederla, e si inserisce in una linea di continuità con quanto già messo in campo dai loro predecessori. Sta a noi, ancora una volta e più che mai, opporci, compatte e determinate, con ogni mezzo necessario, allo scempio che quotidianamente si consuma sotto i nostri occhi, nelle campagne come ovunque. Aldilà di qualsiasi retorica, calcolo, o strumentalizzazione.