LA MISERIA DELLA POLITICA e LA POLITICA DELLA MISERIA: Aggiornamenti dalla Capitanata
Pronta la prima tendopoli, quella adiacente all’albergo diffuso di San Severo. Altre tre, tutte nel comune di San Severo, saranno allestite a breve, ci dicono dalla Regione Puglia. Pare che il sindaco di Lucera, invece, non voglia saperne di quella che avrebbe dovuto essere la quarta, sul territorio del suo comune. Intanto, la fatidica data del 1 luglio è passata senza scossoni: né sgomberi né ‘svuotamenti’. Gli abitanti del Grand Ghetto tirano un sospiro di sollievo – andarsene senza avere la benché minima garanzia di un contratto, né del trasporto verso i campi dove si raccoglie, avrebbe significato perdere il lavoro (irregolare e iper-sfruttato, certo) per molti degli uomini che vivono nella baraccopoli. Il Ghetto è, in fin dei conti, un luogo di reclutamento, e spesso un intermediario, il ‘capo nero’, è un passaggio obbligato: senza di lui trovare lavoro è molto più difficile nella sconfinata piana di Capitanata, soprattutto per gli ultimi arrivati. E per trovare il capo, bisogna stare al Ghetto. È da lì che tutte le mattine, all’alba, partono i mezzi che portano gli uomini nei campi.
E così i lavoratori hanno spuntato la promessa che non dovranno muoversi finché non avranno in mano un regolare contratto. Se questo si materializzerà, per gli oltre 500 iscritti alle liste di prenotazione, è tutto da vedere. Ovviamente sono esclusi i lavoratori privi di permesso di soggiorno, per cui, se mai una soluzione arriverà, si dovranno attendere i tempi biblici di una regolarizzazione umanitaria, come al solito ad hoc e totalmente arbitraria, che prevede il ricorso alle commissioni territoriali. E poi, anche nel caso di chi ha regolare permesso di soggiorno, nessuno può obbligare un’azienda ad assumere attraverso le liste. Ci sono gli incentivi, certo (peraltro già dal 2006, e non hanno mai funzionato).
Come se non bastasse, le recenti dichiarazioni di Guglielmo Minervini, il principale promotore di questo traballante progetto, non sono certo rassicuranti: ‘Ravvisiamo scarso coraggio da parte delle imprese e qualche fantasma di troppo: chi recluta dalle liste – questo il timore – si espone al rischio di controlli da parte dell’Inps. E invece sarà esattamente il contrario…i controlli seguiranno un programma mirato su quelle aziende che in maniera eclatante eviteranno ogni tipo di rapporto regolare di lavoro. Quindi deve aver paura dei controlli chi non raccoglie questa sfida’. Sono le testuali parole che sarebbero uscite dalla bocca dell’assessore alle politiche giovanili, alla trasparenza e alla legalità della Regione Puglia, secondo un articolo dell’edizione di Capitanata de La Gazzetta del Mezzogiorno, datato 5 luglio e riportato senza pudori sulla pagina Facebook di Equapulia – No Lavoro Nero, il ‘marchio etico’ estratto dal cilindro della politica pugliese.
Insomma, chi ha firmato il protocollo di intesa per il bollino etico non deve temere, potrà impunemente continuare a sfruttare i lavoratori di ogni provenienza e a raggirare lo stato, intascando anche i contributi. Basterà dimostrare un’assunzione (ma a nome di chi? Per quante giornate di contributi effettivamente versati nella busta paga degli assunti?). Vogliamo sperare che si tratti di un errore, uscito dalla penna di qualche distratto ‘giornalista’, di un fraintendimento – non è forse la legalità il punto? In ogni caso, noi vigileremo da vicino, possono stare sicuri l’assessore, i suoi scribi e i padroni etici.
C’è da dire inoltre che tutto questo avviene in un paese in cui l’assenza di un welfare di stato e la disoccupazione galoppante vengono compensate attraverso l’arcinoto e pluridecennale fenomeno dei falsi braccianti, e dove la maggior parte delle aziende agricole, soprattutto al Sud, si serve di lavoro del tutto irregolare. Qualche dubbio sulla bontà delle paventate assunzioni non è il frutto di una posizione ideologica e pessimista bensì di una semplice lettura dei fatti.
E poi, sfugge un altro particolare. Come può essere che il sito e la pagina Facebook della stessa Equapulia abbiano iniziato a fare pubblicità ad alcune aziende firmatarie del protocollo, in particolare il conservificio Futuragri, prima ancora che le liste di prenotazione raccolte al Ghetto venissero pubblicate? Prima che sia iniziata la raccolta di quei pomodori etici che Futuragri dovrebbe inscatolare? Pare davvero che la Regione Puglia riponga nelle aziende una sconfinata fiducia.
Ma non basta: anche facendo un gigantesco sforzo, e concedendo fiducia e buona fede a questo castello di carte, rimane il problema principale. Come faranno i lavoratori regolarmente assunti dalle ‘liste del Ghetto’ a raggiungere il posto di lavoro dalle tendopoli (o da qualsiasi altro luogo), visto che non esistono mezzi di trasporto? È questa la dignità di cui vanno blaterando senza la benché minima cognizione di causa politici e politicanti di tutte le risme, anche quelli che si definiscono compagni e che fanno le pulci a chi da anni sostiene i lavoratori attraverso una presenza assidua e un lavoro difficile e paziente? Un lavoro che con il tempo ha dato i suoi frutti, che ha portato alla costruzione di rapporti di fiducia, di percorsi assembleari, di pratiche di reale autorganizzazione. E che grazie all’azione dei paladini regionali e dei loro accoliti ha subito pesanti contraccolpi. Adesso al Ghetto il potere dei caporali è più forte che mai, legittimato dalle autorità che hanno scelto di trattare con loro, eleggendoli a rappresentanti della baraccopoli. E i lavoratori hanno paura di esporsi, di parlare. Molti hanno perso la fiducia nei bianchi, che li trattano come animali o come pacchi da spostare a piacimento. Come dargli torto.
E infine, last but not least: in tutto questo parlare dei lavoratori immigrati sfruttati, la schiera dei buoni samaritani si è forse scordata che accanto a loro, al Ghetto, vivono non soltanto coloro che li portano al lavoro, che li ricattano e li controllano, ma anche le lavoratrici che contribuiscono alla riproduzione della loro forza lavoro. Le prostitute, sì. Certo non potranno continuare a lavorare nelle tendopoli, una volta che il Ghetto sparirà come vogliono i teorici della legalità. E allora? Voilà, il secondo coniglio dello stesso cilindro: un corso di cucina. Ebbene sì, signore e signori, è questo che le donne per bene debbono fare, in fondo. Si trovassero un uomo che le mantiene (ma mi raccomando, uno solo!) in cambio di sesso garantito, di pasti caldi e panni puliti…
Restano le migliaia di persone che popolano i ghetti della Capitanata (quelli meno famosi ma altrettanto isolati e degradanti, come Borgo Tre Titoli, o la pista abbandonata dietro il CARA di Borgo Mezzanone) durante la stagione di raccolta, e sempre più anche a raccolta finita perché semplicemente non hanno altri posti dove andare. Espulsi soprattutto dai territori del Centro-Nord, dove hanno perso il lavoro, quindi il reddito e la possibilità di avere una casa e una “vita”. In questi casi quindi parlare di “stagionalità” diventa fuorviante.
E poi ci sono gli uomini e le donne che arrivano dalla Romania e dalla Bulgaria, restano per neanche due mesi e poi tornano nei loro paesi o proseguono alla volta di nuovi impieghi sottopagati. Loro sì che sono i veri stagionali, che spessissimo sono costretti a subire condizioni di vita e sfruttamento durissimi, lavoratori segregati nelle campagne da padroni e caporali. Un fenomeno, questo, che sta raggiungendo grandissime proporzioni. Il costituirsi di una forza lavoro itinerante, che proviene da paesi comunitari e viene distribuita nei magazzini di smistamento merci, negli stabilimenti Foxconn della Repubblica Ceca, nelle campagne del foggiano come della Spagna meridionale, e altrove. La segregazione costruita ad hoc comincia nel paese d’origine con il viaggio organizzato per raggiungere l’Italia, e si presta allo sfruttamento feroce, al controllo capillare dei corpi. Di loro, i veri “invisibili” delle campagne (passateci il termine) la regione e l’opinione pubblica non parlano nemmeno, forse perché gli interessi economici in gioco sono molto più alti, gli interventi più rischiosi e i problemi più spinosi? Sicuramente meno spendibili in pre-campagna elettorale.
Inoltre, la stessa organizzazione del lavoro e della vita dei lavoratori si sta mettendo a sistema, in modo contenitivo ed escludente, anche nel resto della regione Puglia, nella provincia di BAT e in quella di Lecce. Così come in altri territori dedicati alla raccolta stagionale, in Basilicata ed in Piemonte. Il problema quindi rimane assolutamente radicato in un sistema produttivo tutto da cambiare, che però resta tale e quale. Se alle istituzioni stanno davvero a cuore le sorti dei lavoratori e dei territori, per quale motivo hanno deciso di foraggiare la megamacchina emergenziale, piuttosto che usare gli stessi soldi per rendere agibili le case disabitate che abbondano nei centri urbani del foggiano, rompendo l’isolamento in cui lo sfruttamento si riproduce al riparo di ogni possibile perturbazione? Perché non mettere in piedi un sistema di agevolazioni e di ammortizzatori per chi affitta a lavoratori stagionali (che magari in qualche caso sarebbero incentivati a mettere radici), facendo ricadere il denaro pubblico sul territorio e non consegnandolo ai professionisti del terzo settore? Perché aggiungere accampamenti di ‘tende blu’ a territori già messi alla prova da monocolture intensive – e poco cambia se siano di pomodori o di pannelli solari? Così si aggiunge devastazione – vengono in mente altri luoghi, le piane calabresi di Gioia Tauro e di Sibari, i luoghi di produzione agricola nei pressi dei quali si concentrano i centri di ‘accoglienza’, che assurgono al ruolo di fabbriche di irregolarità e di braccia a basso costo, sacche di emarginazione istituzionalizzata.
“Oggi” si comincia dagli immigrati e nel settore agricolo a sperimentare e praticare modelli di vita e di lavoro extra ordinari e marginalizzanti. Da una parte volti a produrre il massimo profitto, dall’altra un pericoloso isolamento che condurrà inevitabilmente all’irregolarità e quindi allo sfruttamento. Domani, se il format funziona e non incontra opposizioni ed alternative, toccherà altri settori produttivi, coinvolgendo quindi anche i contesti urbani e riguarderà tutti, ‘autoctoni’ inclusi.
Manca la volontà politica di andare oltre la “riduzione del danno”, manca la messa in discussione di un sistema economico e politico neo-liberale ed eurocentrico, che vede gli stranieri come soggetti passivi e non autonomi su cui agire normalizzando e speculando in nome della “legalità”.
Ci si potrà forse rimproverare, oltre alla malizia, anche un atteggiamento distruttivo…ma come? Criticare le uniche soluzioni messe in campo da anni a questa parte? Noi non abbiamo certo cilindri né conigli, ma forse un pizzico di buon senso, quello sì, e la pazienza di ascoltare, capire, informarsi, conoscere. Le stesse doti che avremmo voluto vedere in quegli amministratori della cosa pubblica che hanno, invece, calato dall’alto soluzioni degne del più pataccaro dei prestigiatori.
P. S. A chi ci imputa una assenza di volontà di dialogo, vorremmo far notare che anche la critica è ricerca di dialogo, per cui siamo più che disponibili ad un incontro riguardo questi temi, che sollecitiamo con urgenza, con l’Assessorato della Regione Puglia o qualunque altro attore istituzionale o del terzo settore che sia disponibile ad un confronto reale. Vorremmo avanzare delle proposte e ricevere chiarimenti. Attendiamo una risposta.
Comitato lavoratori autorganizzati, Rete Campagne in Lotta