Intervento in Capitanata 2015: prime riflessioni.
Da circa un mese è iniziato l’annuale intervento su Foggia e su tutta la Capitanata, che come Rete Campagne in Lotta portiamo avanti oramai da quattro anni. L’intervento si concentra sullo sfruttamento lavorativo nelle campagne, costruendo insieme ai lavoratori strumenti di auto-organizzazione sulle questioni fondamentali, dai problemi con i padroni e i caporali a quelli con questura e comune su permessi di soggiorno e residenze.
In queste prime settimane abbiamo organizzato diversi momenti assembleari nei vari insediamenti del territorio. Durante le assemblee si è discusso di come affrontare i problemi principali dei lavoratori: l’abuso generalizzato da parte di datori di lavoro e caporali, in assenza di qualsivoglia tutela, le difficoltà burocratiche relative all’ottenimento o al rinnovo del permesso di soggiorno e della residenza, e quindi l’accesso alla sanità e ad altri servizi.
Per quanto riguarda il lavoro, come già ampiamente documentato anche negli anni precedenti, il sistema di ingaggio della manodopera agricola è basato sulla totale flessibilità richiesta dalla produzione agroindustriale stagionale. La scrittura di un contratto, utilizzata dai titolari delle aziende unicamente per giustificare la presenza dei lavoratori in caso di controlli, non prevede alcun tipo di tutela previdenziale. Il lavoro, contrattato a giornata, è pagato a cottimo e richiede un impegno fisico enorme a chi raccoglie a mano. Per loro, le paghe attuali in Capitanata si aggirano intorno ai 2,5-3,5 euro a cassone di pomodoro (dal peso di 300 chili ognuno), per giornate di lavoro che possono arrivare alle 10 ore. La raccolta a macchina impiega meno lavoratori, soprattutto comunitari, ed è sempre più diffusa per quanto impossibile dopo le piogge.
L’ingaggio vede spesso l’intermediazione dei caporali che si occupano del trasporto, del pagamento, e della contrattazione diretta ed esclusiva con i titolari delle aziende agricole, garantendosi una percentuale su ogni lavoratore. Ogni caporale tratta con diversi agricoltori, a loro volta spesso alla corda a causa dei prezzi imposti dalla trasformazione e dalla GDO attraverso i loro intermediari. I padroni continuano a fatturare enormi somme di denaro grazie al sistema di sfruttamento messo in piedi sulla filiera: basti pensare che uno dei più grossi conservifici del mondo, la multinazionale Princes con sede a Foggia, produce circa sette milioni di barattoli di pomodoro al giorno, esportati in tutto il mondo.
Sul piano istituzionale tutto concorre nel favorire la totale precarietà, smantellando tutele giuridiche, criminalizzando, creando gerarchie, ricattando. Per quanto riguarda chi ha bisogno del permesso di soggiorno, il sistema di abusi delle questure, del tutto normalizzato a livello nazionale, passa attraverso pratiche quali la richiesta costante (e non necessaria) della residenza per il rinnovo del permesso di soggiorno. Residenza che è preclusa ai lavoratori stagionali come a chiunque non abbia fissa dimora e non possa permettersi una casa o una stanza in affitto, o a chiunque vive in un’occupazione. Non manca chi lucra sull’esclusione, dagli avvocati alle cooperative che gestiscono centri d’accoglienza e altri ‘servizi’, a chi vende contratti d’affitto o altri documenti, che gli stranieri sono costretti a pagare per non cadere nell’irregolarità. Il terzo settore e i sindacati, che dovrebbero occuparsi di ‘assistenza e supporto ai migranti’ in questo contesto, nel migliore dei casi promuovono pratiche assistenzialiste, burocratiche e rivolte a pochi singoli. Più spesso sono assenti esasperando la distanza con i lavoratori, stanchi di promesse e strumentalizzazioni.
Il perdurare della crisi e gli arrivi massicci di richiedenti asilo negli ultimi mesi, completamente abbandonati dallo Stato e dall’UE, hanno incrementato la presenza di persone in cerca di lavoro in ghetti, campi e insediamenti più o meno formali, peggiorando una situazione già pesantissima. Nonostante i proclami, la macchina di governo che vede ‘terzo settore’ e sindacati alleati con istituzioni locali e nazionali non ha prodotto nessun cambiamento nell’organizzazione del lavoro e delle condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici, in Capitanata come ovunque. Sono emblematiche le recenti dichiarazioni del presidente della regione Michele Emiliano riguardo alla volontà di sgomberare il Gran Ghetto, un luogo ancora una volta usato come specchietto per le allodole nel tentativo di distogliere l’attenzione dallo sfruttamento sistematico del lavoro nelle campagne che lo circondano.
La spettacolarizzazione del Ghetto come luogo di degrado e di criminalità si allinea con gli attacchi mediatici contro i profughi e gli immigrati sollevati ad hoc per creare il clima di guerra tra poveri, su cui perpetuare le politiche di macelleria sociale imposte dall’attuale governo, che rendono quanto mai necessario organizzarsi per resistere. Quello che come Rete promuoviamo è la condivisione di strumenti per una rivendicazione collettiva che scardini dal basso queste dinamiche, perché siamo convinti che attraverso l’unica arma che hanno da sempre i lavoratori, quella dello sciopero, si possa arrivare ad un miglioramento generale delle condizioni non solo degli immigrati ma di tutti i lavoratori.