Siamo un gruppo di lavoratori e lavoratrici di Roma impegnati nel sistema di accoglienza e inserimento per migranti, rifugiati, richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati.
Abbiamo vissuto da vicino gli avvenimenti di questi ultimi giorni e portato solidarietà agli ospiti e agli operatori del centro di accoglienza di via Morandi a Tor Sapienza. Abbiamo sperimentato la paura, la rabbia, la frustrazione di una situazione in cui ci siamo sentiti impotenti e abbandonati dalle istituzioni. Dopo tutta la violenza a cui abbiamo assistito, pensiamo che sia necessario analizzare l’accaduto .
Quella di Tor Sapienza è una situazione che rischia di riprodursi anche in altri centri di accoglienza o villaggi attrezzati di Roma, che sono per lo più collocati nelle estreme periferie della città; non può essere considerato un caso isolato né fuori dal comune, già preceduto da gravi episodi di razzismo a Corcolle con i raid al centro per richiedenti asilo da parte degli abitanti del quartiere e l’omicidio di un ragazzo pachistano a Torpignattara nell’ultimo mese.
L’isolamento di questi centri, l’emarginazione e l’esclusione sociale a cui sono costretti coloro che ci abitano, la quasi totale assenza di contatti e scambi con i quartieri circostanti fanno sì che si riproducano le dinamiche dei ghetti e delle istituzioni totali, generando situazioni di devianza e malessere tipici di chi vive in queste condizioni. Disumanizzanti per chi ci vive, disumanizzanti per chi ci lavora.
Da un lato un sistema che continua ad affrontare il fenomeno migratorio come emergenza da risolvere, dall’altro un’idea di accoglienza che, seppur condivisibile sulla carta e nelle dichiarazioni, nei fatti ha molto più a che vedere con la volontà di controllo, con la repressione e con la riproduzione di meccanismi di dipendenza coloniali.
Non crediamo in spiegazioni semplicistiche, ma siamo sicuri che la responsabilità di ciò che è avvenuto debba essere attribuita anche all’intero modo in cui è pensata l’accoglienza.
Alla distanza dalla realtà che mostra di avere il Servizio Centrale, responsabile dei centri SPRAR, alla lentezza della burocrazia e l’esiguità del numero delle commissioni territoriali si sommano il sistema spesso clientelare di appalto alle cooperative del sociale da parte del Comune di Roma e le modalità di gestione di quest’ultime, dove in molti casi viene rincorso il profitto ed i favori dei politici, piuttosto che il benessere degli utenti e dei lavoratori che operano all’interno dei centri.
In questo quadro l’estrema destra – Casapound, Fratelli d’Italia, Lega – gettano benzina sul fuoco, cercando di strumentalizzare l’accaduto, in alcuni casi eseguendo o rivendicando le violenze perpetuatesi negli ultimi giorni. Conquistando spazi fisici e strappando consensi, a Tor Sapienza come altrove. Identificando nelle persone fisicamente e culturalmente “altre” il capro espiatorio del disagio lavorativo, economico, abitativo e sociale che attraversa questa città.
Alla precarietà e allo sfruttamento del nostro lavoro, spesso sottopagato o pagato con mesi di ritardo, si aggiunge la difficoltà strutturale di gestire al meglio il supporto all’inserimento sociale e all’autonomia dei richiedenti asilo e rifugiati, cadendo spesso nel ricatto etico – morale di lavorare per il bene dei nostri utenti, pur in condizioni del tutto ostacolanti. Crediamo che lo sfruttamento e la svalutazione del nostro lavoro sia parte dello stesso progetto di accoglienza emergenziale, spesso sommaria, e che sempre più diventa un settore redditizio in cui fare affari. Con grande spreco di soldi pubblici da parte delle istituzioni responsabili e spesso scarsi risultati.
Sullo sfondo ci sono la situazione sociale drammatica di chi vive nei quartieri periferici di Roma, la lontananza delle istituzioni, il mantenimento volontario di alcune zone come dormitori quando va bene, se non come piazze di spaccio e luoghi di criminalità; l’estrema difficoltà di concepire un futuro diverso, che offra delle possibilità, uscendo da questo circolo vizioso che porta solo alla guerra tra poveri e alla perdita della speranza.
Vogliamo denunciare un sistema di accoglienza malato che coinvolge istituzioni internazionali, nazionali, locali e terzo settore, a nostro parere parte fondamentale in questa storia. Le spese le fanno gli “ospiti” di questi centri, la cui voce fa fatica ad uscire fuori nel clamore mediatico, troppo spesso visti come responsabili di situazioni di degrado o altrimenti come vittime indifese, mai come essere umani con diritti, aspettative, idee, speranze.
La nostra lotta non può essere separata dalla loro e da quella di tutti gli sfruttati. Perché pensiamo che nessun essere umano debba subire il controllo della propria vita e a nessuno debba essere privato del diritto di pensare e creare il proprio futuro. Sia rifugiato, lavoratore precario, disoccupato abitante di un quartiere abbandonato.
Per queste ragioni crediamo indispensabile lanciare un’ appello a tutti gli operatori e le operatrici che lavorano nel sistema di accoglienza di questa città per partecipare ad un’ assemblea che si terrà venerdì 12 dicembrealle 20:00 in Via Appia Nuova 357 (zona Alberone).
Per incontrarci, confrontarci insieme sull’idea stessa di accoglienza e sulle derive della sua gestione, per discutere delle nostre condizioni lavorative e iniziare insieme a costruire un percorso di riflessione e di lotta.
Auto-organizzandoci e auto-determinandoci.
I lavoratori e le lavoratrici del sistema di accoglienza di Roma
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