Il comune di Saluzzo (provincia di Cuneo), dopo lo sgombero del Foro Boario è nuovamente sotto l’attenzione della stampa. Questa volta non solo per le impossibili condizioni di vita e di lavoro a cui sono costretti i braccianti provenienti dall’Africa, ma anche perché il 4 agosto, con 35 gradi all’ombra è stato loro negato l’accesso all’acqua, staccando l’unico rubinetto,costruito dai migranti, del campo (definito dal sindaco una “provocazione”).
L’acqua è stata staccata da chi (sindaco, municipale) agisce in nome di quella “legalità” che li porta ad essere sempre celeri ad intervenire quando c’è da reprimere, ma sempre dimentichi di combattere sfruttamento, lavoro grigio e discriminazione. La legalità che il padrone impone ai suoi sfruttati.
I lavoratori hanno deciso che avrebbero difeso l’acqua. E così è stato fatto. Scendere in piazza carichi di rabbia e bloccare Saluzzo è stata l’unica soluzione.
Dopo tre mesi di vana speranza si è constatato che solo urlando i propri diritti e volendoseli riprendere, paralizzando la città, si può essere ascoltati. Il sindaco ha aperto dunque un tavolo di trattativa e ha ricevuto i lavoratori in municipio per installare, entro due ore, due rubinetti al Foro Boario.La stampa locale e nazionale si è ovviamente occupata solo del fatto in sé, Lega nord e altri hanno accusato i migranti che hanno osato arrabbiarsi nonostante la “generosa ospitalità”.
Si è fatto di tutto per tacere, nascondere, mistificare le cause prime che sono state all’origine dell’esplosione di rabbia. 600 migranti vivono in una favelas a cielo aperto aspettando disperatamente di poter ottenere un lavoro per sopravvivere senza altre possibilità che restarsene a Saluzzo ad aspettare un ingaggio, spesso in grigio, o spostarsi magari a Foggia, come alcuni hanno fatto, nelle braccia dei caporali e della malavita organizzata.
Vivere dentro delle baracche o sotto delle tende, fare ore di fila per le docce, svegliarsi all’alba ogni mattina per sperare di trovare un ingaggio, anche alla giornata, spesso non trovandolo non è una condizione accettabile: vedersi privati dell’acqua, un bene necessario per la sopravvivenza, è solo l’ulteriore violenza inflitta, l’ennesima violenza contro un soggetto iper-ricattato come il migrante. Se queste condizioni di vita e di lavoro non sono accettabili in qualsiasi contesto, tanto meno lo sono nel mercato ortofrutticolo di Saluzzo, un mercato ricco che smercia perfino in Europa. Troppo comodo dare “accoglienza” solo ai pochi che si tengono a contratto per periodi più lunghi, ovviamente senza segnare tutte le giornate di lavoro, per poi pescare nella massa di disoccupati nei momenti di picco produttivo. C’è un’intera filiera, organizzata sullo sfruttamento, per cui pochi grandi commercianti acquistano i prodotti a bassissimo prezzo (cosa che si ripercuote sui diritti e i salari dei lavoratori) per rivendere al doppio o al triplo nei mercati italiano e europeo: un’ansia di profitto che non si perita a calpestare i più elementari diritti.
Poco hanno da vantarsi Sindaco e Coldiretti, schierati a palese tutela di questo status quo, del piano di “accoglienza” a Saluzzo, poco più di 10 container da 6 posti e qualche altro posto letto (oltre a quelli messi a disposizione dalla Caritas): era chiaro fin dall’inizio che gli arrivi previsti e le presenze reali sarebbero entrati in contraddizione. Non possono ridurre a problema di ordine pubblico una situazione di miseria, sfruttamento e violazione di diritti basilari che loro stessi hanno contribuito a costruire.
La “rivolta” per l’acqua è stato quindi un atto di disperazione di fronte alla privazione di un bene fondamentale per la sopravvivenza, ma anche una reazione alle condizioni di vita e di lavoro.
Ci sentiamo di avere il dovere di fare chiarezza, di portare l’attenzione non solo sulla conseguenze, sulla rabbia, ma sulle cause di ciò, ed esprimiamo solidarietà ai migranti di Saluzzo, non volendo lasciarli soli in questo linciaggio politico e mediatico superficiale e razzista
Rete campagne in lotta
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