Contro il silenzioso massacro nelle campagne del pomodoro: l’unica arma è la lotta
Nardò, Lecce _ Si apre tragicamente, con la morte di un lavoratore, la stagione di raccolta del pomodoro. Martedì 21 luglio Mohammed, sudanese di 47 anni, si è accasciato a terra sotto il sole rovente, mentre tentava di assicurarsi la sopravvivenza raccogliendo uno dei prodotti ortofrutticoli di punta del Made in Italy. Siamo in Puglia, uno dei principali territori di produzione del pomodoro a livello nazionale e internazionale, di cui Expo è orgogliosa vetrina. Una produzione che si basa sullo sfruttamento sistematico di una manodopera che si vuole rendere sempre più ricattabile. Mohammed lavorava senza contratto per un’azienda già inquisita per grave sfruttamento della manodopera, che come tante altre, in un contesto di completa impunità, continuano a basare i propri profitti su condizioni di lavoro inaccettabili. Nella raccolta del pomodoro si lavora spesso per 10-12 ore al giorno, anche durante le ore più calde, senza alcun tipo di tutela contrattuale, per meno della metà del minimo sindacale. È un’organizzazione del lavoro ormai ben collaudata e alimentata dalle leggi sull’immigrazione e dalle politiche di una “accoglienza” inesistente. I profitti della filiera agro-alimentare, controllata dalla grande distribuzione e dalle multinazionali, si fondano esattamente su questi meccanismi di grave sfruttamento. Eppure, proprio a Nardò, qualche anno fa i lavoratori impegnati nella raccolta del pomodoro hanno coraggiosamente denunciato le loro condizioni di grave sfruttamento attraverso uno sciopero. Ma la risposta istituzionale è stata a dir poco inadeguata. Ne è un esempio l’inchiesta che ha coinvolto l’azienda per cui lavorava Mohammed e che evidentemente non ha impedito al titolare di continuare le sue pratiche di sfruttamento. Oppure l’approvazione della legge contro il caporalato che non aggredisce al cuore il problema ma criminalizza unicamente gli intermediari al servizio delle aziende.
E questi sono i risultati. I veri responsabili rimarranno sempre impuniti se non si colpisce al cuore il problema, se non si mette in discussione l’intero sistema di produzione e di organizzazione del lavoro. Lo sciopero di Nardò è stato un passaggio fondamentale per la costruzione di un fronte sempre più ampio di lotta, la sola risposta possibile allo stato di cose presenti.