Piana di Gioia Tauro: contro i muri delle istituzioni, la lotta continua!

Continua la lotta degli/delle abitanti della tendopoli di San Ferdinando che da mesi scendono nelle strade, in Calabria e non solo, per avere una vita migliore. Dopo l’ennesimo blocco del traffico della scorsa settimana, martedì 28 marzo una delegazione ha incontrato Prefetto, Vice Prefetto e Questore di Reggio Calabria.
Le rivendicazioni presentate sono sempre le stesse: accesso per tutti e tutte ai documenti (permesso di soggiorno, residenza, passaporto) e la possibilità di vivere in una casa e non all’interno di campi di lavoro, soprattutto in vista dell’imminente sgombero della tendopoli. Durante l’incontro le persone hanno ribadito con forza alla controparte quali sono le devastanti conseguenze che hanno su di loro le politiche condotte fino ad oggi dallo stato e da tutto l’apparato che governa le loro vite, su un piano locale, nazionale ed europeo. Attualmente la quasi totalità delle persone che vivono in tendopoli è sprovvista di qualsiasi tipo di documento e questa condizione li costringe ad andare a vivere nei ghetti che costellano l’Italia. Senza la cosiddetta “capacità giuridica” non possono accedere a lavori meglio retribuiti dei 20/25 euro al giorno che offre la campagna, e diventa difficile, se non impossibile, prendere un posto in affitto. Quindi quel che resta dei campi di stato – come la tendopoli – e le baracche diventano le uniche possibilità abitative. In un quadro del genere risulta chiaro come l’imminente sgombero dell’unico posto dove queste persone sono costrette a vivere renderebbe le loro vite ancora più precarie sotto ogni aspetto, considerando che l’unica alternativa abitativa sarà un nuovo campo di stato, in grado di contenere all’interno di altre tende 600 persone provviste di permesso di soggiorno valido, a fronte delle quasi 3000 che ne sono sprovviste. E senza dimenticare che la nuova tendopoli è stata già dotata di una recinzione metallica tutt’intorno, il cui ingresso sarà piantonato da vigilantes; per ricevere visite all’interno del campo bisognerà chiedere l’autorizzazione a chi lo gestirà, e sarà vietato cucinare all’interno perché i pasti verranno portati da un servizio di catering. Insomma, un vero e proprio campo di lavoro!
Le risposte di prefetto e questore, com’era in parte prevedibile, sono state vaghe e poco rassicuranti. Da una parte infatti si è ripetuto il solito copione che abbiamo già sentito in altri palazzi del potere, a Foggia come a Roma: si comprende che la prima esigenza sono i documenti, ma i responsabili non sono loro, vanno sempre cercati altrove. Dall’altra è stato ripetutamente dichiarato che con la chiusura della vecchia tendopoli (alias sgombero) nel territorio potranno restare solo 600 persone “regolari”: per gli altri non ci sono soluzioni, se ne devono andare e basta!
Ciò che sta avvenendo nella Piana di Gioia Tauro rispecchia il clima che si respira in altri ghetti di stato, dalle baraccopoli della provincia di Foggia a quelle vicino Caltanissetta, che le forze dell’ordine con efferata violenza sgomberano e distruggono, anche uccidendo. Chi ha un documento valido viene deportato in strutture di proprietà dello stato, ovviamente isolate e lontane dai centri abitati, dalle quali si esce solo per lavorare, mentre chi ne è sprovvisto rimane in strada, alla ricerca di un altro ghetto dove andare a vivere. In entrambi i casi si viene costretti ai margini della società, diventando inesauribile fonte di profitto, non solo in quanto manodopera funzionale al mercato del lavoro a costi bassissimi, ma per il semplice fatto di essere immigrati e stare dentro un campo, che permette ad enti locali, associazioni e cooperative di accedere a cospicui finanziamenti. In questo modo risulta evidente come il governo stia mettendo in pratica un modello di gestione dell’immigrazione che si è andato affinando negli anni e ad oggi è nel vivo nella sua operatività!
Nonostante la gravità del contesto di vita e la cinica, crudele superficialità delle risposte istituzionali, gli/le abitanti della tendopoli sono usciti dall’incontro ancora più determinati ad andare avanti nella lotta, molto consapevoli che il confronto e l’unità, insieme alla solidarietà da parte di altre realtà di lotta, sono gli unici strumenti che hanno per poter decidere della propria vita.
VOGLIAMO DOCUMENTI E CASA PER TUTTI E TUTTE!
NO AI CAMPI DI LAVORO!