Tutti in campo…per una nuova stagione di sfruttamento! Nuovi piani di allargamento del sistema concentrazionario italiano

Come è ormai consuetudine, alle porte delle stagioni di raccolta, invernali o estive, a Sud come a Nord, si mettono a punto nuovi strumenti di contenimento e disciplina per i lavoratori e le lavoratrici migranti. Lo Stato, i governi, le amministrazioni locali, il terzo settore, la “società civile”: tutti oramai ritengono normale, poiché funzionale e giusto, che le persone immigrate – se proprio si devono tollerare – debbano vivere all’interno di campi chiusi, che il più delle volte si trovano in mezzo al nulla, per essere pronti ad uno sfruttamento totale: lavoro, accesso a qualsiasi tipo di servizio, socialità, sessualità e altro ancora.

Ed è altrettanto pacifico che per queste strutture vengano spese ingenti quantità di soldi pubblici, per essere poi gestite da cooperative, associazioni, sindacati e altri, all’interno di un un ormai noto meccanismo di profitto. Così come è normale che nel momento in cui le persone immigrate si ribellano, non accettando di andare a vivere nei ghetti istituzionali, si levi un coro di indignazione accompagnato da una forte repressione, nei loro confronti e verso chi solidarizza, andando ad alimentare ancora una volta l’atteggiamento coloniale per cui siccome vieni da un paese povero devi accettare qualsiasi cosa decida il paese che “ti ospita”, ed essere grato!

La Calabria si è dimostrata pioniera in questo, con la creazione della prima tendopoli per lavoratori nel 2012, come risposta alla grande e giusta ribellione avvenuta a Rosarno nel 2010 da parte degli immigrati che lavoravano in campagna. Da allora fino ad oggi il modello campo ha proliferato e attualmente la zona industriale di San Ferdinando è diventata un grande slum militarizzato. Anche il Piemonte non ha voluto essere da meno e per questo nella provincia di Cuneo, tra i comuni dove si raccoglie la frutta, per quest’anno la giunta comunale di Saluzzo ha proposto di collocare 400 persone – tra le migliaia che arriveranno per la stagione – nell’ex caserma Filippi. Anche in questo contesto, negli anni passati non sono mancate numerose proteste degli indispensabili lavoratori immigrati, che reclamavano l’accesso ai documenti e all’acqua potabile, e la possibilità di lavorare regolarmente, che in agricoltura significa anche la garanzia di vitto e alloggio! Ma si sa bene che i padroni e le loro tasche non si possono toccare, ed ecco che arriva il campo di lavoro.

Ma é in Puglia, in particolare nella provincia di Foggia e in parte in quella di Lecce, che si sta realizzando il progetto più articolato di campi di lavoro diffusi su tutto il territorio. É già da qualche anno che la regione Puglia, sempre più di concerto con il Ministero dell’Interno, cerca di avviarne una violenta messa a sistema. Proteste e rifiuti non hanno fatto demordere i paladini dell’apartheid. Nel marzo scorso è stato sgomberato il Gran Ghetto: due persone sono state uccise e diverse centinaia sono state tenute in stato d’assedio per quattro giorni per poi essere deportate in due campi (ri)attivati per la grande occasione, rigorosamente isolati e lontani da occhi indiscreti. Prevedibilmente, peró, il Gran Ghetto è risorto dalle sue ceneri, e i due campi di lavoro sono diventati le sue succursali.

Dati i grandi successi, per la prossima stagione del pomodoro il nuovo commissario straordinario nominato dal Ministero dell’Interno annuncia la soluzione al problema dei ghetti: 4 nuovi campi! I comuni coinvolti, Apricena, Manfredonia e San Severo, beneficeranno sia di finanziamenti europei rispettivamente di 6 e 7 milioni di euro. Così come riceveranno il supporto economico per intraprendere importanti lavori di miglioria alla rete stradale e fognaria sul proprio territorio. Una sorta di premio – traduzione di collaborazione istituzionale – per essersi presi il disturbo di “ospitare” diverse centinaia di immigrati rinchiusi in una gabbia. I campi dovrebbero infatti essere spazi recintati atti a contenere 400 persone all’interno di moduli prefabbricati, con bagni esterni e una tendostruttura per il consumo dei pasti, e 3 moduli cucina annessi. Uno di questi, quello di Borgo Amendola (Manfredonia), dovrebbe sorgere in una ex base militare. Così vengono descritti da un quotidiano locale: “modello campi di lavoro degli anni ’50-’60”. Senza ovviamente che le richieste di lavoratrici e lavoratori, in lotta da anni, siano state minimamente tenute in considerazione, nonostante le rassicurazioni e le promesse da mercante. Per quanto riguarda il quarto campo, l’ex istituto agrario in località Torre di Lama, presso Arpinova, continuano i malumori già espressi da tempo dalla popolazione locale. Accanto al pregiudizio, c’é la paura di vedersi sottrarre quel (poco) che si ha, come sta accadendo d’altronde negli altri due comuni menzionati. In più, da anni si chiede che l’istituto agrario potesse tornare ad essere un luogo di formazione per tutti i giovani e non solo per gli immigrati. Tutto ciò a testimoniare l’incapacità complessiva di concordare con i diretti interessati, autoctoni e immigrati, soluzioni concrete, alimentando ulteriormente la guerra tra poveri.

La storia è sempre la stessa, anzi va sempre peggio, come dimostrano le notizie che quotidianamente giungono da questi luoghi e non solo. Per chi è costretto a vivere nei campi tutto ciò non è affatto normale, ed è per questo che ogni giorno leggiamo e sentiamo di blocchi e proteste contro i campi (quelli di lavoro, quelli di accoglienza e quelli di detenzione), contro lo sfruttamento, contro tutto quell’impianto che impedisce a una gran parte della popolazione del pianeta di muoversi liberamente.

Davanti a tutto questo l’unica via d’uscita è sostenere e stare fisicamente accanto a chi tutti i giorni lotta per distruggere questi campi e il sistema che li promuove, oltre che fare da cassa di risonanza per la voce di chi da anni reclama documenti, case, contratti di lavoro regolari.

Non ci stancheremo di combattere un sistema che dietro l’umanitarismo caritatevole nasconde la violenza coloniale e militarista, e apre a nuove frontiere di sfruttamento e controllo delle vite.

Continueremo a lottare nelle strade, dentro e fuori dai ghetti, dai campi e dai centri di accoglienza e a gridare ancora una volta WE NEED YES!