Piana di Gioia Tauro: braccianti ed agricoltori chiedono risposte alla regione Calabria

La Piana di Gioia Tauro, con i suoi agrumeti, le tendopoli ed il lavoro sfruttato non sono ancora saliti alla ribalta delle cronache. Si è appena conclusa la stagione dei meloni e dei pomodori, che mai come quest’anno ha assunto toni da bollettino di guerra, visti i morti che l’hanno caratterizzata. La lotta però non segue le stagioni, anzi le attraversa, spesso anche per anni, soprattutto quando la lotta si porta avanti contro uno sfruttamento di durata decennale del territorio – in tutte le sue complessità ed articolazioni – e della sua gente. E quella nella Piana è la lotta dei produttori e dei braccianti per le proprie condizioni di vita e di lavoro. Una lotta che per anni è proseguita su binari paralleli, spesso incontrandosi e scontrandosi con le retoriche più becere che alimentano la guerra tra poveri, mettendo gli uni contro gli altri.

Ma negli ultimi mesi questi due percorsi di lotta si sono incontrati e hanno costituito un fronte comune, basato sull’amara constatazione che nella situazione attuale nella Piana di Gioia Tauro la produzione di agrumi non ha futuro, a meno di interventi strutturali per la riorganizzazione del comparto. Da una parte ci sono i braccianti, che da alcuni anni si sono costituiti in un comitato di lavoratori autorganizzati che lavorano in diverse regioni italiane, dalla Calabria alla Puglia, sostenuti dalla rete nazionale Campagne in Lotta. Dopo la famosa rivolta dei lavoratori immigrati a Rosarno nel gennaio 2010, i riflettori non si sono accesi solo sulle loro condizioni di lavoro e di vita: è emerso sempre più chiaramente anche il meccanismo sul quale si fonda parte dell’agricoltura italiana, considerando soprattutto la dimensione agroindustriale. Dall’altra parte, in questo quadro ci sono i piccoli produttori, a loro volta uniti all’interno dell’associazione “Il Sole di Calabria”, nata per affrontare le gravi problematiche che li affliggono. Oramai sempre più spesso gli agricoltori sono costretti ad abbandonare le proprie terre o a cederle, perché i costi di produzione non sono sostenibili rispetto al guadagno effettivo.

La maggior parte delle aziende agricole della Piana di Gioia Tauro – caratterizzate da piccole dimensioni, in linea con buona parte del tessuto produttivo italiano – nel corso degli anni è stata costretta a consorziarsi all’interno delle O.P. (Organizzazioni di Produttori) per poter accedere ai contributi europei e mantenere in vita le aziende, visto che i costi fissi necessari alla produzione sono troppo alti da sostenere. Tali O.P. (che nascono come enti sociali senza scopo di lucro) vengono gestite da pochi soggetti, i quali disattendono la vera natura dell’Ente che gestiscono per accumulare immense ricchezze a discapito di coloro che hanno il diritto di partecipare alla suddivisione degli utili e dei contributi forniti dalla Comunità Europea. In poche parole, queste Associazioni – che dovrebbero spartire gli utili e i benefit – si sono “ingrassate” sulle spalle degli agricoltori e dei braccianti. E non solo: in conseguenza di queste dinamiche, gli agricoltori messi in ginocchio sono costretti a svendere a prezzi irrisori i propri fondi, acquistati dagli stessi dirigenti delle OP e dai liberi commercianti. Oltre al danno, la beffa.

Ed ancora, tali OP controllano tutte le fasi della filiera produttiva, dalla compravendita dei semi alla manodopera – in molti casi squadre di lavoratori provenienti dall’Europa dell’Est, che vengono intercettate direttamente nei paesi d’origine e prestano lavoro in condizioni spesso peggiori rispetto a quelle dei “colleghi” non comunitari – ai macchinari, trasporti e imballaggi. E soprattutto, le O.P. controllano il prezzo di vendita alla Grande Distribuzione Organizzata, che nel corso dell’ultima stagione si è attestato tra i 10/15 centesimi al chilo per i clementini e 5/6 centesimi al chilo per le arance da industria: troppo poco persino per raccoglierli, gli agrumi, che infatti in molti casi sono rimasti sugli alberi o sono stati mandati al macero. Per i piccoli agricoltori la dipendenza è totale, tant’è che le O.P. vengono spesso definite come i caporali dei contadini. I braccianti, coloro che la terra la lavorano senza possederla, essendo l’ultimo anello della filiera sono ovviamente investiti in pieno e più di tutti da questo meccanismo di impoverimento, con paghe da fame e senza alcuna possibilità di vedersi versati i contributi e di avere quindi accesso ai diversi istituti previdenziali (malattie, ferie, maternità, disoccupazione agricola).

Il guadagno, quindi, è tutto per le O.P., i commercianti, le aziende di trasformazione e la grande distribuzione, che dettano i prezzi dei prodotti risparmiando come sempre sugli attori più deboli e ricattabili della filiera – i piccoli produttori e gli operai agricoli. È dunque evidente come in uno scenario del genere non ci sia margine di sopravvivenza né per gli uni né per gli altri, ed è proprio per questo che negli ultimi mesi si sono finalmente incontrati per la costruzione di un fronte di rivendicazione comune. Il tentativo è quello di ridisegnare l’agricoltura nella Piana di Gioia Tauro attraverso la riconversione della produzione agricola, favorendo la sua diversificazione, al fine di ridurre l’impatto economico, ambientale e sociale della monocultura, i cui effetti disastrosi sono ormai innegabili. Sostenendo questo processo anche attraverso percorsi di formazione professionale, da sempre necessaria a questo settore produttivo, anche al fine di rendere i lavoratori meno precari e più stanziali sul territorio, in modo tale da poterli assumere non solo durante la stagione della raccolta degli agrumi ma anche per altre colture ed in altri momenti dell’anno (si prenda ad esempio la potatura degli alberi d’ulivo, dei Kiwi e degli agrumi vari, le quali prevedono tecniche che necessitano di una formazione specifica). La rivendicazione congiunta di produttori e braccianti pone al centro un cambiamento radicale del ruolo delle O.P., verificandone l’effettiva funzionalità e finalità, e se necessario ponendo la questione di un loro possibile commissariamento.

Ad aprile tali istanze sono state sottoposte all’attenzione del Presidente della regione Calabria, il quale detiene anche la delega all’agricoltura, unendo in questo modo le rivendicazioni di anni di lotte. Ma ad oggi nessuno ha avuto la “premura” di rispondere e tanto meno di convocare un tavolo, nonostante i numerosi solleciti. Braccianti ed agricoltori intendono quindi denunciare il silenzio assordante di questa regione e dei suoi rappresentanti, che stanno lasciando “morire” la terra e chi la lavora!

Comitato Lavoratori delle Campagne

Assoziazione “Il Sole della Calabria”